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E cosi se ne va un’altra stagione. Con gli ultimi minuti giocati per inerzia, ma con la stessa voglia del primo giorno di incidere, di essere risolutivi. Noi paghiamo una certa incertezza sul futuro, ma paradossalmente abbiamo dalla nostra l’assiduità. Facciamo questo dal 2005. Sono vent’anni questo settembre. Raw Messina, di per se’, esiste dal 2016, e forse il primo tentativo pienamente autoctono è stato 240Grand, sulla Bowery, dal 2008 al 2011. Insomma tanti anni di spazi, scatole bianche, negozi su strada, garage, retrobottega e bottega, scarrozzi improponibili, cantine, case di campagna. Ne abbiamo fatte di ogni. Ad alcune cose non ci si abitua mai, nel senso che è sempre bello come il primo giorno: aprire la serranda la mattina e lasciare entrare la luce del sole in galleria. Assistere al risveglio delle opere, del lavoro del giorno prima. Mettere su un disco, e prestare attenzione alle prime battute di musica come a cercare qualcosa che non avevamo ancora colto nei 20 anni precedenti. La piccola manutenzione che ti prende un giorno intero. L’inventario, spostare le opere da destra a sinistra e poi di nuovo da sinistra a destra, per tornare al punto di partenza. Fare una mostra. L’oretta prima dell’opening, quando non c’è ancora nessuno, e la paura che vengano in pochi. Il casino di quando poi vedi troppa gente e non riesci a parlare davvero con nessuno. Quelle due/tre mail di chi risponde alla newsletter, o propone il suo lavoro. Gli occhi di chi compra un pezzo e se lo porta a casa e poi scrive, o mi manda una foto di dove/come l’ha messo. Chi partecipa. Chi partecipa senza sperare di ottenere niente in cambio, cioè che lo fa per amore ( pochi ).
Chi sa ascoltare. Chi viene con la mente aperta e l’entusiasmo del bambino. I fotografi con le loro macchine al collo sempre pronti a cogliere il momento decisivo. I nerd della diapositiva. Le proiezioni di diapositive la sera con gli amari di Paolo. Gli amici ( pochi). Le visite inaspettate di Danielino. In generale le visite inaspettate (poche). I fiori che mi ha portato Valda. I quadri di Paola. L’idea di uno spazio organico che muti di continuo, riflettendo il percorso di chi vi partecipa e contribuisce. L’idea di condivisione. I pennarelli acrilici. I miei studenti quando vengono a trovarmi, e la loro energia, che in un secondo rivitalizza lo spazio. La ronza micidiale dell’impianto. Gli scaffali pieni. I libri. Poi, ci sono cose a cui non ci si abitua nel senso che ti fanno male come la prima volta, ma queste non le voglio dire, perché è un po’ come lanciare una maledizione, un po’ di quella cosa poi ti rimane sulle dita e fa fatica ad andare via.
Delle meschinità grandi e piccole della vita di tutti i giorni siamo tutti ( chi più chi meno ) colpevoli. Certo c’è chi ne fa un vero e proprio stile di vita ( di solito per un tragicomico misplacement dell’ego e del suo ruolo ), e chi vi ricorre solo saltuariamente quando crede di avere le spalle al muro.
Ma la verità è che non abbiamo mai davvero le spalle al muro. Non abbastanza da perdere tutta la nostra grazia, la nostra eleganza. C’è un sogno che ho, che è quello di non accorgermi mai della cattiveria degli altri. E questo sogno per tanti anni, è stato alimentato proprio dall’idea di uno spazio dedicato alle cose belle, significative, al percorso più che al risultato. Ha funzionato? A giudicare dai capelli bianchi e dal corpo che non è più quello del giaguaro, si, ma a caro prezzo, e solo temporaneamente. Ieri mattina, mentre andavo a terminare i collages che sto realizzando per la fondazione Gariwo, sfruttando un giorno di festa nazionale in cui tutti gli altri prevedono che tu sia chiuso/inattivo/in panciolle quando invece lavori come un cane comunque, ho incontrato ai piedi della scalea del tamburino mio cognato Cami che si stava allenando correndo su per le scale. È un’opera monumentale, un intero isolato di 126 gradini che va a finire proprio sotto al liceo Kennedy, dove risiede l’ambasciatore americano presso la santa sede. Da su, il panorama è molto bello. Cami dice di riuscire a salire di corsa sei volte, io ieri sera ho provato, anche se non ne avevo alcuna voglia, per curiosità. Sono riuscito a salire 2 volte, e la terza alternando una rampa di corsa a una di plunging. Alla fine avevo il cuore che spingeva per uscirmi dalle orecchie. Il corpo è strano. È una fisarmonica, un martello. Un involucro, un veicolo di senso, di storie. Ha memoria, esiste nel tempo in forme diverse, si muove nello spazio. È vulnerabile e resiliente. Accanto a questo, oppure di sopra o di sotto, ci sono i sentimenti che proviamo. I nostri pensieri, le aspettative, le piccole gioie, le delusioni. I sogni, che emanano da noi con gli occhi chiusi. Quando lasciamo entrare qualcuno o qualcosa, un affetto, ma anche, la musica ad esempio, nel nostro piccolo mondo, il corpo si aggiusta. Ogni goffagine sparisce all’istante. Per un attimo o due, le cose sembrano andare proprio come dovrebbero andare sempre. Ma proprio la cognizione della delicatezza e della precarietà di quest’armonia, ci spinge a perdere il nostro equilibrio, e nel cadere, ci sembra di rinascere ogni volta.
La volta di cui parlo è la mostra di Eleonora Rossi, una serie di opere su carta ispirate ai “Frammenti di un Discorso Amoroso” di Roland Barthes. È una mostra su cui Elenora, di cui recentemente è uscito un saggio sul processo creativo da Silvana Editoriale, ha lavorato sorprendendomi ad ogni giro di boa. Dovete venire. È una mostra che celebra l’aspetto sensuale dell’amore, partendo da premesse severamente intellettuali. Inauguriamo il 12 Giugno, giovedì. PLEASE RSVP. rispondendo con il bottone sotto.
Il tamburino, da cui la scalea prende il nome, invece si chiamava Domenico Subiaco. Era figlio di contadini, non era istruito, ma si era unito ai garibaldini per difendere la repubblica romana. Ma era minuto, e perciò invece di un’arma gli venne affidato un tamburo. Era lui che doveva incitare alla carica. Il 3 Giugno del 1849 aveva sedici anni. Dai documenti e dai racconti di altri eroi del risorgimento ( cit. Camillo Ravioli ) sembra che a un certo punto nell’infuriare della battaglia il tamburino abbia imbracciato il fucile di un compagno caduto, e guadagnata una posizione di vantaggio sia riuscito a sparare 10 o 12 colpi verso i francesi, facendosi passare i moschetti dai commilitoni coperti. Vistosi accerchiato, invece di ripiegare, si tolse la camicia e caricò da solo il nemico, sperando di coprire la ritirata. E morì così, per un ideale che, agli occhi di un contadino ciociaro dell’800 doveva sembrare folle, ma irresistibile, irrinunciabile. Auguro a tutti quelli che ci hanno accompagnato con il cuore puro quest’anno, di trovare la propria balena bianca.
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First off: pardon my english, it’s getting rusty, I know. It was already, now it’s barn door rusty, before it was neglected bike in a bike room rusty. In short we say: finally summer. Was flippin thru a book of paintings by john fahey, an hero of most of my heroes, remembered I was given it by Pete for my birthday. Heard about him ( Fahey not Meehan ) by Julian Lage, quoting him during an interview, and thought that, it was an amazing thing to be so curious and so in love with a form of art ( guitar ) to embrace it in all shapes and forms, and keep on listening to different approaches. I bought a micro drum set for the gallery, because I wanted to start tinydesking a bit, but it came with no mechanics. :) I’m setting some money aside for that project while producing an amazing new show of works on paper by one Eleonora Rossi. Eleonora is an acquaintance of mine, we met at the first RawMessina joint in
Milano. She has two super cool children ( one of which an asRoma supporter ), has written a very nice book on the creative process, and it’s an accomplished painter and educator. This last February I was in Milan doing other kinds of business and I thought I’d drop by hers. Was early for our appointment so I stopped by the local ( and I think original ) Libraccio joint, to browse thru old books ( americani, it’s sorta our strand ). In that milieu, and that state of mind, my eyes were caught by an old paperback edition of A Lover's Discourse: Fragments by Roland Bartes and to make this even more Wes Anderson-y that it already sounds, I bought it, alongside a book of studies on the human body by Matisse and a collection of reproductions from Braque’s artist books, one of which, Lettera Amorosa has been a fav of mine ever since.
Long story short, I gave Leo ( short fro Eleonora from now on ) the book, hoping it would inspire her and provide more context to her drawings. That were already verging towards the body, and the energy between bodies, and the ever changing geography of desire(s).
And so it did. And also there stopped my curatorial effort, as the results wildly surpass my rethorics. I uploaded a few screengrabs in the “on view” section, Here below a couple flyers, and willing to send forth a pdf with her works for the show to anyone who replies “love” to this epistola. Loving you from roma, as usual